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Pret A Porter

ANNO: 1994           

REGIA: Robert Altman

ATTORI: Kim Basinger, Sophia Loren, Marcello Mastroianni, Julia Roberts, Lauren Bacall, Rupert Everet

DURATA: 133

TRAMA: Mentre a Parigi ferve l'attività per la più importante sfilata di moda del mondo. In tutto questo caos il capo del Consiglio per la Moda viene improvvisamente trovato morto nella sua limousine. Sebbene sia sia strozzato con un sandwich al prosciutto, la polizia ritiene che si tratti di omicidio. Nella cerchia dei sospettati sua moglie, con la quale non parlava da anni e la sua amante, una famosa stilista, presente alla sfilata. L'inchiesta è in corso, ma lo spettacolo deve continuare.

SCENE CULT:
SPOGLIARELLO:
Lo Spogliarello di Sophia Loren che tenta di stupire Marcello Mastroianni è veramente divertente
OMICIDIO: del capo del Consiglio per la Moda da il via a tutta la vicenda.
INTERVISTE: fatte dalla bella Kitty Porter (Kim Basinger) servono a far introdurre lo spettatore in quello che è il mondo della moda.
SFILATA: L'ultima sfilata, con tutte le modelle nude, è il punto focale del film.

CRITICHE: Da il Morandini Divertente, elegante, leggero. Spumeggiante perché il suo oggetto è la spuma, superficiale perché il suo tema è la
superficialità, l'epopea dell'effimero. Sotto il vestito niente, e filmare il niente non è facile. L'atteggiamento di R. Altman verso il mondo della moda è ambivalente: ammaliato perché lo vede come uno spettacolo di circo (puro teatro), ma non può far a meno, dall'alto dei suoi 70 anni, di descriverlo con l'ironia lucida di un profanatore. Il suo vero bersaglio non è la moda, ma il microcosmo che vi gravita intorno, soprattutto giornalistico. Tutti i personaggi dei media son messi sulla graticola. Con gli altri (compresi i due giornalisti chiusi in camera senza vestiti) si diverte, ma ride con loro, non di loro. Fa eccezione quello di A. Aimée cui è affidata la serietà, un po' anche la morale della storia con la sfilata a sorpresa delle modelle nude nel sottofinale. L'epilogo all'aperto potrebbe essere di Ferreri: un sorriso o un ghigno?
Da Il Corriere Della Sera
Se fossi un attore darei qualsiasi cosa per apparire in un film di Robert Altman; e, proprio come hanno fatto i trenta interpreti principali di Prét-à-porter, non chiederei garanzie sull’importanza del ruolo, sul numero delle battute o sulla simpatia del personaggio. In un film come questo gli attori sono tutti simpatici, anche chi per ragioni inerenti alla vicenda non dovrebbe esserlo. Vedi Jean.Pierre Cassel, spocchioso dittatore della moda parigina, che muore soffocato da un tramezzino al prosciutto nella sua limousine, proprio in mezzo a un imbottigliamento sul ponte Alexandre III. Suscita gravi sospetti il fatto che in macchina con la vittima c’era uno strano figuro, datosi immediatamente alla fuga; noi sappiamo, ma i poliziotti Jean Rochefort e Michel Blanc no, che si trattava di un improbabile moscovita, appena liberatosi dal colbacco, Marcello Mastroianni. Il quale, lo scopriremo presto, è un italiota arrivato dal freddo per ritrovare la sua bella di quaranta anni fa, Sophia Loren, che credendolo morto nel rivederlo sviene.
Sophia è la legittima vedova allegra di Cassel, mentre la stilista Anouk Aimée ne è, come ex amante, la vedova triste. Per la verità ha anche altri problemi in quanto la ditta va a rotoli, tanto che all’insaputa della madre il figlio Rupert Everett sta cedendone il marchio a uno scarparo texano. Questi sono solo alcuni dei fili che il regista ci porge da tirare per districarci nel carosello delle sfilate del Prét-à-porter, dove se ne vedranno di tutti i colori. Per esempio il fotografo irlandese Stephen Rea, avidamente in caccia di immagini scandalistiche, incastra l’una dopo l’altra le «streghe del Macbeth», vale a dire le tre supergiornaliste del ramo: Sally Kellermann, Linda Hunt e Tracey Ullmann. E due reporter americani, Julia Roberts, giornalista di provincia, e lo sportivo Tim Robbins finiscono per un disguido in stile Accadde una notte nella stessa camera con le liete conseguenze immaginabili: Parigi è sempre Parigi.Mi accorgo così che ho nominato poco più di un terzo dei protagonisti del film (questo è il rischio che si corre con Altman, non venir citati per ragioni di spazio); e dovrei far giustizia all’ancora avvenente Lauren Bacall, al nero Forest Whitaker nel ruolo per lui insolito di sarto omosessuale, a Danny Aiello grossolano compratore Usa e dilettante di travestimenti muliebri. Ma è importante evidenziare soprattutto Kim Basinger, travolgente nel ruolo di una tele-cronista impicciona, improvvisatrice e alla fine disperata (un po’ il personaggio di collegamento che aveva Geraldine Chaplin nell’omologo Nashville). E proprio a Kim che cade addosso l’incombenza impossibile di commentare i défié conclusivo, una variante suggerita al regista dalla favola I vestiti dell’imperatore di Andersen: questa volta le indossatrici sono nude e in mezzo a loro troneggia la tedesca Ute Lemper in qualità di sposa incinta con una pancia vera. Questa zampata alla Altman risolleva i tono di un film sempre piacevole, affollato e vivace, in cui tuttavia i pretesti narrativi si sfilacciimo nel troppo lungo percorso. Nell’intervista l’autore ha usato il termine «farsa» che è quello giusto soprattutto riferito al ricorrere di certe gag: come quando tanti, l’uno dopo l’altro, calpestano la cacca del cane. O quando, in una situazione da Albergo del libero scambio stupendamente recitata, la Kellermann sorpresa nella camera del fotografo mentre tenta di trafugare certi negativi si nasconde in un armadio dove è già nascosto Mastroianni. Anche più forte dell’altra scena, ormai un classico, in cui lo stesso Marcello e una sempre fulgida Sophia replicano trent’anni dopo e senza sfigurare lo spogliarello di Ieri, oggi; domani al suono di Abat-Jour. Vogliamo concedere che Prét-à-porter non morde granché, non graffia, non si accanisce sul mondo dell’alta moda come è stato scioccamente lamentato da alcuni stilisti? Infatti si tratta di un film di puro divertimento, di un’allegra commediola su sfondi continentali come se ne facevano negli anni Cinquanta con musica, donne a gogò e risate garantite. Un Altman piccolo piccolo, se volete, però quale altro regista avrebbe saputo farlo.
Da La Repubblica
Fa notizia (notizia?) che Gian Franco Ferré manda in passerella a Parigi, tra applausi e stupori, una modella incinta di sei mesi. Niente di nuovo. Un pancione non diverso (quello di Ute Lemper) lo si vede in Prét-à-porter di Robert Altman che, in centotrentadue minuti di spettacolo, mette in scena un cast di “all stars”, da Marcello Mastroianni a Sophia Loren, da Lauren Bacall a Julia Roberts, da Tim Robbins a Rupert Everett, da Anouk Aimée a Kim Basinger. Una passerella di sfolgoranti e ossutissime top model che interpretano se stesse. I protagonisti, dallo stesso Ferré a Gianni Bulgari, da Sonia Rikyel a Gaston Lacroix, da Nicola Trussardi a Thierry Mugler, si concedono o si negano all’obiettivo, spiegano e teorizzano i frivoli ma economicamente importantissimi sistemi della moda. Vizi, virtù, agitazioni, interessi, adulteri, complotti, odi, amicizie (spesso “particolari”), inimicizie, vestiti, nudi, miserie (molte) e nobiltà (poca, secondo Altman) del gran circo della moda. Sophia Loren rifà per Marcello Mastroianni il celebre spogliarello di Ieri, oggi, domani (ma con poco successo). Ci si divertirà, probabilmente, alla cattiveria, al clima da pochade, alle gag, alle passerelle, a questo “Vogue” in movimento, al dietro le quinte e al sotto le lenzuola, forse anche alle cacche di cane che disseminano la storia (è una fine allusione?) e danno a molti personaggi l’occasione di sacramentare“merde”. Ma non vedremo un bel film.
Con ottimi argomenti si potrebbe sostenere esattamente il contrario. Altman è sempre Altman, un maestro assoluto del cinema corale, della drammaturgia polifonica, delle tessiture variegate e apparentemente casuali dove alla fine tutto trova il suo posto. Ma in questo caso le aspettative - amplificate a dismisura da una campagna promozionale che risuonava sui due fronti, quello della moda e quello del cinema - sono state altissime. E anche se nessuno rimpiangerà le due ore e dodici minuti passate a seguire il carosello altmaniano, resta il rammarico per il fatto che questo suo Nashville - come il film è stato ribattezzato per l’ovvia somiglianza strutturale con il meraviglioso Nashville - non è all’altezza del modello o di America oggi. Perché, più che una creazione coerente, è un contenitore brillante. Perché il celebrato gusto altmaniano per l’improvvisazione si traduce piuttosto in un accumulo di gag ed episodi legati dal filo dell’unità di luogo e di tempo. Responsabile, si potrebbe ipotizzare, il cattivo umore moralistico che trasuda da ogni minuto - o quasi - del film e che culmina nella grande passerella finale di nudi, lugubre e sinistra come certe immagini medievali che mostrano, sotto la bellezza, lo scheletro.
Esattamente al contrario di Nashville, Altman, vent’anni dopo, anziché ironizzare fustiga, anziché raccontare denuncia, senza un filo di pietà o di simpatia per i suoi Personaggi. Come se, nel corso della lavorazione, il mondo della moda da cui Altman sembrava inizialmente affascinato lo avesse invece irritato e respinto, sollecitando la sua vena più crudele e impietosa. A Nashville i personaggi della finzione sono tutti sgradevoli, pronti a vendere, tradire, ricattare, sparlare, farsi la forca. E non si salva nessuno, salvo il povero Mastroianni (che ha però giustamente l’aria un po’ imbarazzata per quello che gli fanno fare e indossare) e Anouk Aimée, che offre all’obiettivo un viso bellissimo e naturale, e il senso della dignità della sua professione.
Ce n’è ovviamente anche per le mosche cocchiere di questo gran circo - giornalisti, fotografi di moda, reporter tv, inviati vari - che si scannano tra di loro (come il terzetto “macbethiano” costituito da Linda Hunt, Sally Kellerman e Tracey Ullman), disprezzano il prossimo (come la sgradevolissima star della fotografia Stephen Rea), fanno domande sceme (come Kim Basinger in diretta tv), o copiano disinvoltamente le corrispondenze altrui: come fa Tim Robbins che, da cronista sportivo costretto a occuparsi della morte del gran patron della moda francese Jean-Pierre Casse!, si limita a trascrivere per il suo giornale quello che dice la giornalista di “Sky News”. Insieme a una deliziosa Julia Roberts, giornalista dall’alcol allegro, Tim Robbins è protagonista de! solo episodio felice del film, che vede i due, costretti dal caso, coabitare nella stessa stanza d’albergo (entrambi hanno perso i bagagli) e amarsi lietamente fino a che arrivano, con le valigie, i vestiti - e la perduta identità.
Altman è troppo intelligente, colto e abile per non disseminare il suo film di segnali di questo tipo. Ma lascia anche che lo sfondo debordi, in un imperfetto equilibrio tra la realtà (parziale) e la finzione (impacciata), che la narrazione si sfilacci in gag di bassa lega, che le idee si ripetano. E, spenti i riflettori, smorzata la musica, riposti i lustrini, Prét-à-porter resta nel ricordo come il film banale di un genio.
Il film comunque non ha riscosso molto successo in Patria guadagnando appena
11,300,653  DOLLARI e ne è costati 20 MILIONI DI DOLLARI. In Italia invece il film ha riscosso un ottimo successo al boxoffice posizionandosi al 29esinmo posto dei film più visti con ben 4 MILIARDI 747.946 LIIRE.
 

COMPENSO DI KIM: Non rilevato

INCASSI: Boxofficemojo

PAROLA DI KIM: “E’ venuto fuori dal nulla, perché Altman non sapeva veramente chi fosse Kitty Potter, credo nemmeno alla fine del film, sicuramente io non lo sapevo"
“Era come girare come un branco di zingari e un camcorder. Non so ancora oggi di cosa parlasse quel film, è stato il più traumatizzante che io abbia mai realizzato, piangevo tutte le sere, sono stata scaraventata in questo ruolo, che per la maggior parte era di improvvisazione”.

PAROLA MIA: Certamente è un film che vale la pena di vedere. Non capita così spesso di vedere riunito in un solo film un cast superstellare
                           come questo. La mano di Altman si sente. Tutti i protagonisti sono simpatici e spiritosi. Il  ruolo di Kim è di rilievo e molto
                           singolare. Il film forse è un po' troppo lungo e a volte lento, ma è un interessante viaggio nel mondo della moda.